Si diffondono rapidamente e sono tremendamente false. Sono le bufale sul web e a volte riconoscerle non è così facile.
Pensiamo ad esempio alle ultime elezioni presidenziali americane, in particolare al dibattito sulla pubblicità di siti con notizie completamente false che hanno costretto due big della Silicon Valley, Facebook e Google, a bloccare questo tipo di annunci. Sull’onda degli eventi, si è diffusa l’opinione che Donald Trump avesse conquistato la Casa Bianca anche grazie all’abile uso di Internet per diffondere messaggi falsi o fuorvianti. Davanti a queste affermazioni, il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, ha tentato di uscire dall’angolo definendo folle questa tesi, ma è stato sepolto dalle critiche: Facebook con i suoi 1,8 miliardi di utenti nel mondo, di cui 150 milioni solo negli Stati Uniti, è pieno zeppo di “inserzioni-bufale”; le abbiamo viste tutti, dalle diete miracolose al gossip inventato, e ai più attenti non sarà sfuggito come anche la “bufala di cronaca” venga spesso utilizzata per spingere l’utente a cliccare sulla pubblicità di turno. Da qui alla notizia politica falsa il passo è breve, soprattutto se si pensa che il social di Zuckerberg fornisce la «dieta» quotidiana di informazioni politiche a un americano adulto su due.
Il caso delle elezioni statunitensi ha fatto scalpore, ma il problema che alcune pubblicità possano contenere notizie-bufala, volutamente false, riguarda più in generale il sistema dei media e dell’informazione.
Google, uno dei più grandi intermediari nella gestione delle pubblicità online attraverso la sua piattaforma AdSense, ha deciso di eliminare dal suo circuito pubblicitario le pagine web che «travisano, nascondono o espongono in modo scorretto le informazioni».
Facebook ha da poco aggiornato le regole per l’utilizzo del suo sistema di annunci pubblicitari, chiarendone meglio il funzionamento, con risultati simili a quanto fatto da Google. Con un comunicato, la società ha spiegato che i link a pagine che pubblicano notizie false e bufale rientrano nella categoria di siti cui viene impedito di utilizzare Facebook Audience Network per la pubblicità.
Rovinarsi la web reputation con un’inserzione sbagliata è davvero molto facile, ancor di più ora che non solo gli utenti, ma anche i motori di ricerca e i social network identificano i link “negativi” (che non rispecchiano il contenuto promesso, o che riportano notizie false). In questo contesto anche noi di Anicecommunication in qualità di professionisti nella redazione di contenuti e nella gestione del SEO e web content ci uniamo all’appello “stop alle bufale in rete”, puntando sul gusto “fresco” e “autentico” della comunicazione, con testi accattivanti e coinvolgenti che però siano anche corretti e sinceri nel fornire le informazioni. Volete qualche esempio? La pagina Facebook di #m2to curata da Anice o gli articoli del magazine “7” dedicato ai proprietari di Jeep la cui edizione italiana è a cura di Anicecommunication.
Nadia Anselmo